sabato 26 aprile 2014

Swiss Press Photo 14

Mark Henley, Swiss Press photographer of the year
© 2014 Swiss Press Photo
A picture Gianluca Grossi, editor of Weast TV, took in Syria is among the best Swiss press photos of the year 2013. Glad to hear that.

© 2014 weast productions


domenica 20 aprile 2014

How many minutes three years of war - Part 2

The second part of our Web Doc How many minutes three years of war is now online. Please check it out on our Youtube channel. To watch click HERE.

© 2014 weast productions

sabato 19 aprile 2014

Quanti minuti - Parte seconda.

© 2014 weast productions
Abbiamo pubblicato sul nostro canale Youtube la seconda parte del Web Doc Quanti minuti tre anni di guerra. Potete guardarlo cliccando QUI. Protagonista, questa volta, un'altra donna, Manal. Anch'essa, come Najah, che abbiamo conosciuto nella puntata precedente, vive in uno scantinato soffocante e malsano a Beirut. Vive una vita da profughi. Insieme ad altri profughi, fantasmi di un mondo parallelo e sotterraneo nello stesso edificio, come la ragazza nella fotografia che proponiamo. Il titolo sommerso di questa seconda parte è: Quante domande in sei minuti. Domande per indirizzarci su una possibile strada da percorrere alla ricerca di un linguaggio che sappia davvero raccontare queste vite. Per incollarcele addosso.
La versione inglese sarà caricata domani.
English version will follow soon (on Sunday).

venerdì 18 aprile 2014

How many minutes three years of war.

© 2014 weast productions
Watch our latest video on Syrian refugees living in Beirut. In its Web Doc How many minutes three years of war, Weast TV tells the story of a family living in a basement in extremely difficult conditions. Despite numbers and statistics telling the world that the number of refugees in Lebanon has passed the one million mark, these lives remain mostly invisible. Weast tells one of them. To watch the video please click HERE.

Quanti minuti tre anni di guerra.

© 2014 weast productions
Weast TV pubblica sul suo canale Youtube il primo episodio di un WebDoc dedicato ai profughi siriani in Libano. Lo puoi vedere direttamente cliccando QUI. Quanti minuti 3 anni di  guerra racconta la storia di una famiglia di Aleppo fuggita a Beirut. Lo fa attraverso la testimonianza della madre, che ci accoglie in uno scantinato umido e muffoso nel quale vive con il marito e quattro bambini. È una storia di "vite invisibili", che figurano o non figurano nelle statistiche, quelle che riferiscono di oltre un milione di profughi siriani in Libano, mentre le cifre non ufficiali suggeriscono che siano molti di più. Le statistiche, tuttavia, non dicono nulla della vita di queste persone. Anzi, sono fatte per farci credere che non ne abbiano una. Il video segnala la campagna di aiuto lanciata dall'Associazione Assil, per aiutare questa e altre famiglie. L'indirizzo al quale richiedere maggiori informazioni è associazioneassil@gmail.com. Il video è stato pubblicato anche in versione inglese accessibile cliccando QUI.


giovedì 3 aprile 2014

Stressante. Come la guerra. Un video Weast TV.

Nessuno torna a casa uguale dopo essere stato in guerra. Uguale a prima. Sei una persona diversa. Questa volta non parliamo dei civili, che non posso tornare a casa, perché è lì che di casa stanno, dove si consuma una guerra. Parliamo dei soldati. Lo spunto ce lo dà la sparatoria avvenuta nella base americana di Fort Hood, Texas, dove un soldato, Ivan Lopez, ha ucciso sparandogli tre suoi compagni. Pare che ci sia stata una lite, prima. E circola voce che Lopez soffrisse del Disturbo da stress post traumatico (in inglese Post Traumatic Stress Disorder, PTSD). Aveva passato un periodo in Iraq, un turno, come si dice, con la divisa dell'esercito americano. In guerra non c'è nulla che non lasci un segno: un combattimento, una sparatoria, un'operazione speciale, la perdita di un compagno, la consapevolezza (accettata o meno) di avere ucciso dei civili, la constatazione che stai cambiando, che non sei più quello di prima. La paura: forse è proprio questa a cambiarti. Quando un soldato imbraccia un fucile ha paura, ma è una paura diversa. Forse un pilota di elicottero o di caccia non ha paura, troppo lontano, soprattutto l'ultimo. Anche i piloti hanno paura quando sono a terra. È una paura uguale a quella che invade i soldati sorpresi da un attacco mentre fanno ginnastica, o bevono un caffè o scambiano due parole fingendo di essere al sicuro.

La sequenza filmata che vi proponiamo l'aveva girata Gianluca in una base militare americana in Afghanistan. La potete vedere QUI sul nostro canale Youtube. Le immagini iniziano pochi secondi dopo che due razzi sono caduti in rapida successione all'interno della base, annunciati da un fischio terrorizzante, più di un fischio un urlo, terribile, e poi l'esplosione, con l'aria che ti spinge e tu che inizi a correre contando i secondi fino al terzo impatto, corri e ti dici che deve andarti bene, anche questa volta, che sarebbe una cazzata pazzesca se andasse al contrario.

Corri cercando uno dei rifugi creati con quattro blocchi in cemento, e insieme a te corrono soldati in calzoncini e t-shirt, sorpresi dalla minaccia e dalla improvvisa paura della morte. Il rifugio diventa una sorta di casa: quattro pareti domestiche fra le quali sfogarsi e confessarsi. È il caso del soldato con gli occhiali neri (quello che nella sequenza filmata stringe in mano il portamonete, era al bar durante l'attacco): l'audio è disturbato dal rumore degli elicotteri che si sono subito alzati in volo, ma si capisce, si capisce la sua esasperazione, la voglia di tornarsene a casa, di farla finita con questa “merda” (“shit”), la paura di “quei figli di puttana” (“motherfuckers”) che lanciano razzi, paura che diventa espressione fisica nel calcio sferrato a una bottiglietta d'acqua; e poi il ricordo del periodo trascorso in Iraq (a Mosul), paura per la presenza costante degli attentatori suicidi, scene rievocate nel rifugio esterno. È tutto troppo, anche per un soldato.

Nelle parole degli altri soldati il commento dell'attacco appena avvenuto: “ci siamo andati vicini”, "dobbiamo andare a vedere se qualcuno è rimasto ferito, se ci sono dei morti". E il silenzio del giovane soldato afgano, che dapprima cerca di calmare il suo compagno americano mettendogli una mano sulla spalla, poi si ritira. E fuma. E pensa. Infine, dagli altoparlanti, l'”all clear”, il “tuttoapposto”, potete uscire dalle vostre casette in cemento armato. E fare ritorno alla vostra vita di soldati. Che non possono avere paura, non possono ammetterla. Se te la porti dentro corri il rischio che ti spezzi. Per superarla, per vincerla, per fare in modo che se ne vada e ti lasci in pace, ora che sei tornato a casa, questa paura e tutti gli incubi che si porta appresso, per superarla sei pronto anche a tornare indietro, in quel paese dove non si faceva altro che sparare e farsi sparare. Solo che qui sei in Texas. Dove non ci sono nemici. A meno che la guerra ti ha cambiato così tanto da farti passare per nemico, ai tuoi occhi. Nemico di te stesso. E nemici tutti gli altri. Un'allucinazione, che non molla. Bastarda come nient'altro. Troppa roba per un essere umano, la guerra.  

giovedì 20 marzo 2014

Carri armati e olio di ricino.

© 2014 weast productions
Fare finta di niente nuoce gravemente alla nostra salute e a quella di chi ci sta attorno.

Andiamo subito al punto: in rete circola il video del "defenestramento" del direttore della Televisione Nazionale Ucraina, Oleksandr Panteleymonov. Un gruppo di parlamentari del partito Svoboda (ultranazionalista, ultradidestra, molto altro ancora) è entrato nel suo ufficio e dopo una discussione (si fa per dire) iniziale, è passato alle vie di fatto, anzi è venuto alle mani: un paio di sberle al direttore, qualche spintone per fargli firmare una lettera di dimissioni. Panteleymonov ha avuto il torto di trasmettere in diretta il discorso con il quale il Presidente Putin celebrava l'"annessione" della Crimea. Il video è visibile QUI, l'aggressione inizia a 4.34 min.

Osservazione 1:  Svoboda fa parte della coalizione che compone il governo ad interim ucraino. QUI è disponibile una fotografia che mostra il primo ministro provvisorio Arseny Yatseniuk (invitato a Bruxelles - NATO - e a Washington) sorridere e stringere la mano al leader di Svoboda Oleh Tiahnybok in occasione della firma dell'accordo di coalizione parlamentare nell'ottobre del 2012. 

Osservazione 2: il governo provvisorio ucraino ha commentato l'aggressione nei confronti del direttore della TV nazionale precisando che verrà fatta luce attraverso un'inchiesta del Procuratore generale. Interessante: questa carica è controllata dal partito Svoboda, lo stesso al quale fanno riferimento i parlamentari autori del defenestramento del direttore della TV. 

Osservazione 3: Weast TV sta seguendo a tappeto la copertura giornalistica (talk shows inclusi) che la Germania riserva alla crisi in Ucraina e Crimea. Lo facciamo perché la Germania è il solo paese in Europa in grado di combinare (o anche NON combinare) qualcosa in funzione di una distensione con Mosca in funzione di una possibile (ipotetica) gestione della polveriera ucraina. In un paese che, per la sua storia, dovrebbe essere sensibile alla questione "estrema destra", "ipernazionalismo", "derive neonaziste" (Svoboda rientra nelle tre categorie), non si trova praticamente nulla, o ben poco, diciamo qualche superficiale e frettolosa osservazione su chi in Ucraina sta, certo insieme ad altre formazioni, al potere (teoricamente fino alle elezioni di maggio). 

Osservazione 4: collegata all'osservazione 3. L'informazione è un virus contagioso. Lo prendi e non sai nemmeno da chi e come. Le testate tedesche stanno dicendo tutte pressoché le stesse cose sull'Ucraina, sulla Crimea, su Mosca. Inizia uno (stiamo semplificando, okay?), che dà il "la" e gli altri seguono. Non succede soltanto in Germania, succede ovunque. L'informazione funziona come una fotocopiatrice: serve un po' (nemmeno tanto) affinché si crei e si consolidi la "versione ufficiale dei fatti", quasi sempre prodotta dagli spin doctors e portavoce e leader dei governi. L'informazione abbocca e ripete. E fotocopia: sempre più voci si aggiungono al coro, tutte intonate. E tutte impostate su quanto diciamo nell'Osservazione 5.

Osservazione 5: all'essere umano è difficile sottrarsi a una visione del mondo bipolare, il bianco da una parte, il nero dall'altra, i buoni e i cattivi, il torto e la ragione. Ai media è impossibile. Vivono di questa terrificante semplificazione. Osservate quanto si sta dicendo e scrivendo sull'Ucraina, la Crimea e la Russia: è un laboratorio a cielo aperto, una straordinaria opportunità per osservare, da vicino e dal vivo, come nasce l'informazione. 

Osservazione 6: siamo stati tutti (iperbole) sul Maidan, abbiamo visto anche quanto è successo in Crimea. I giornalisti non sono (necessariamente) fessi, nemmeno quelli tedeschi (parliamo di loro perché, come detto, ci stiamo concentrando sulla produzione mediatica tedesca). Perché, allora, si comportano come se fessi lo fossero per davvero? Perché tacciono ciò che non possono non vedere, non avere visto? Per due motivi: l'informazione deve essere semplice, leggibile (o ascoltabile, guardabile), rapida, superficiale. La complessità è, per l'informazione, come una vasca piena d'acqua per un gatto. Secondo motivo: autocensura. Esiste, nella testa di ciascuno di noi, una lettura del mondo, una sua interpretazione, una proiezione personale. Quando la realtà contraddice questa intima costruzione, quando eventualmente la minaccia, per evitare un terremoto (o eventuali lavori di ristrutturazione), meglio censurarsi. Fare finta che tutto quello che inquieta (contraddice, minaccia, ecc.) non esista. Succede per la crisi ucraina. 

Osservazione numero 7: avevamo scritto, tempo fa, da Kiev di avere visto qualcuno, in tenuta paramilitare, fare il saluto nazista per strada. Non siamo verginelle che arrossiscono per poco, ma questa esperienza ci aveva allarmati. Ne avevamo parlato con qualche giovane ucraino, chiedendo che cosa pensasse di questo episodio, dei gruppi di estrema destra in circolazione, con i crani rasati, ecc. Ne avevamo tratto l'inquietante conclusione che gli ucraini "normali", i moderati, quelli che pure c'erano numerosissimi sul Maidan, sottovalutassero la questione "destra dura", la minaccia da essa incarnata. L'attacco al direttore della TV, documentato nel video di cui nessuno finora ha smentito l'autenticità, è una trasparente manifestazione di questa minaccia. Simbolica, diremmo: olio di ricino e manganello a comporre un messaggio indirizzato alla stampa libera, che in parte esiste in Ucraina, vedi, ad esempio, le considerazioni espresse sui politici entrati nel governo provvisorio dal Kyiv Post, cliccando QUI

Osservazione numero 8: e Putin? Putin si comporta nello stesso modo, fomenta le stesse energie sotterranee (e nemmeno tanto) in Crimea e nel resto dell'Ucraina russofona. In un prossimo contributo affronteremo l'affascinante aspetto della "messa in scena speculare" della realtà di cui Putin è stato, in Crimea, l'autore e il regista. Torniamo, tuttavia, a Putin e alla sua "annessione lampo" della Crimea. Il problema è che sembriamo sorpresi, che l'Europa, gli USA, ecc. sembrano sorpresi che il Presidente russo sia stato capace di tanta sfrontata audacia. Curioso. Lo hanno sfottuto da non più poterne fino a Sochi, gli hanno rovesciato addosso una infinità di servizi "giornalistici" sull'inquinamento ambientale, la corruzione, gli operai pagati poco o non pagati, le Olimpiadi ai Tropici, la neve artificiale. Pensavano che fosse una macchietta, una Matrioska col grembiulino. Putin ha richiamato tutti alla politica. Quella dura, quella reale, quella che fa paura, la politica che non teme il frastuono dei carri armati, anzi è come se lo evocasse. Pensavamo che il Kaiser fosse la Merkel, con le sue corazzate fatte di euro, debiti e prestiti, "Rettungschirme" e filippiche, paesi affondati e paesi ripescati. Pensavamo di poterne uscire così, in fondo bene, anche se in mutande, ma vivi e convinti che la guerra o la sua ombra tocca ormai soltanto agli altri, quelli per fortuna lontani. Putin ci ha strappati a questo (in fondo) mediocre sogno. Ci siamo svegliati con gli slip e con addosso una paura blu: non starà per caso arrivando la guerra? Chi lo sa? Putin ci ha messo di fronte a un dato di fatto, che abbiamo rimosso, al quale non vogliamo pensare: la guerra è sempre la conseguenza di calcoli fatti male ed è, di tutte le azioni di cui l'uomo è capace, una delle più agevoli, più semplici, forse (in modo terrificante) più naturali.

Osservazione numero 9: ci siamo allungati. Non stiamo dicendo che sta per arrivare la guerra, ma il solo pensarci (pensarla) dovrebbe aprirci gli occhi, innescare qualche ragionamento. Abbiamo altresì aperto un paio di finestre, attraverso le quali osservare la realtà. Abbiamo fatto, come spesso capita, i criticoni, ma non ci ti tiriamo fuori dai criticati, quindi dovrebbe andare bene. 

Sono appunti scritti di fretta e messi dentro una bottiglia. Sempre meglio questi che l'olio di ricino. Segue (senza dubbio). 

domenica 9 marzo 2014

Ucraina: la democrazia dei poteri. Inchiesta.

© 2014 weast productions
Non succedeva da anni: di provare una profonda inquietudine, quasi paura (la gente ha paura). Quanto sta succedendo in Ucraina e Crimea (quanto succederà ancora) inquieta e mette paura agli europei, svizzeri inclusi. Se risulta abbastanza chiaro il disegno del presidente russo Putin, non possiamo dire altrettanto guardando a Europa e Stati Uniti. Che vogliono? Ufficialmente democrazia e libertà per questo Paese. Due parole e due valori che per definizione significano anche indipendenza, autodeterminazione. E allora, di nuovo: se è chiaro che Putin vuole (perlomeno) la Crimea, Europa e USA cosa vogliono? Non ufficialmente vogliono l'Ucraina (andrebbe bene anche senza Crimea). Se le cose stanno davvero così, abbiamo perlomeno un problema con la versione ufficiale degli obiettivi di Europa e Stati Uniti in questa crisi. In un post su Faccia da reporter del 5 marzo scrivevamo:

Vanno di moda le democrazie basate sul portafoglio. È il primo (e non scritto) articolo di una Costituzione globale che viene esportata dentro la carta regalo dei diritti universali, dello sviluppo sociale ed economico, della parità fra i generi, dell'educazione, eccetera. Andrà a finire così anche in Ucraina, perlomeno all'inizio, che finisca sotto l'ala protettrice di Mosca o quella dell'Occidente.

Nel 21esimo secolo abbiamo imparato che l'esportazione della democrazia (il sapore commerciale della formula avrebbe dovuto allarmarci subito) avviene in modi diversi: attraverso una guerra di invasione oppure attraverso il sostegno di singole persone o organizzazioni attive in un paese da democratizzare. Questo secondo scenario è quasi sempre affidato a cosiddette organizzazioni non governative (ONG), tanto per non suscitare sospetti. Invasione e sostegno pro-democrazia possono avvenire anche contemporaneamente, nel senso che la guerra spiana la strada per l'arrivo, nel paese invaso, di ONG incaricate di realizzare il “modello democratico” di turno. Siccome, però, molte di queste ONG hanno fra i loro finanziatori (“donors”) anche dei governi, si pone evidente il problema del loro essere davvero non governative e quindi della loro indipendenza. In ultima analisi dei loro obiettivi veri.

La stessa cosa si sta avverando (da tempo) in Ucraina. Prendiamo Vitali Klitschko, che la stampa ha definito il “simbolo” della rivoluzione del Maidan a Kiev. Se chiedi a chi nella Piazza ha protestato, ricevi una risposta diversa, un quadro diverso, un posizionamento ben diverso del personaggio. Per la stampa, per il mondo è invece lui il “simbolo”. Interessante. Se andiamo a vedere la pagina web del suo partito (basta cliccare QUI), che si chiama UDAR, scopriamo, leggendo attentamente, la conferma di quanto scrivevamo poco sopra circa il ruolo che ai governi piace affidare alle ONG. La pagina in questione è quella riguardante i Partners del partito (cliccare QUI). Che cosa scopriamo? Che sono quattro. La Klitschko Brothers Foundation, e poi, di fila, questi: International Republican Institute, National Democratic Institute (entrambe istituzioni americane) e la CDU, il partito della cancelliera tedesca Merkel.

Non la facciamo lunga, l'invito ai nostri lettori è a leggere direttamente i contenuti dei link qui indicati. Tuttavia, due osservazioni sono indispensabili:

1) Sulla pagina d'accoglienza dell'International Republican Institute si legge:
    For more than a quarter century IRI has helped men and women working to bring liberty to their lands.
È una frase molto generica, il cui contenuto è tuttavia lodevole senza riserve. Subito sotto, però, gli obiettivi si chiariscono:

First, IRI works in countries important to U.S. interests, where we can make a difference.

Interessante: l'istituto aiuta, certo, ma soltanto quei paesi che costituiscono un interesse per gli Stati Uniti. Formula molto vaga per dire che questi paesi devono anche costituire un interesse per l'Amministrazione che guida gli Stati Uniti, vale a dire il Governo. Tanto è vero che il Presidente dell'IRI è il senatore repubblicano John McCain. Indipendenza? Neutralità? Democrazia senza secondi fini? In ultima analisi, questi paesi devono servire gli interessi degli USA. La geopolitica funziona così (per la Russia non è diverso).

2) Il National Democratic Institute. Altro sponsor statunitense. Questo però è di area democratica, quindi vicino all'attuale Amministrazione americana. Tanto è vero che la Presidente dell'NDI è la signora Madeleine Albright, ex segretaria di Stato durante il secondo mandato dell'Amministrazione Clinton. Fra le altre cariche, la signora Albright ha anche quella di Presidente dell'Albright Stonebridge Group (con sede principale a Washington), che si occupa di un sacco di cose, come potrete vedere leggendo QUI. Fra gli slogan che compaiono sulla pagina d'accoglienza troviamo questo:

We speak the languages of business and government, translating opportunities and risks into benenefits and rewards.

Più chiaro di così: business e (oppure: con) governi amici che consentano di fare soldi. 

Quindi, concludendo: il “simbolo della rivoluzione” ucraina è sicuramente (fino a prova del contrario) una brava persona che chiede (è vero, da anni) un'Ucraina governata bene e in modo pulito. Eppure, è sponsorizzato da questi attori. Con gli obiettivi che abbiamo visto. Che sia stato anche "creato ad arte"? La domanda è lecita. Un personaggio costruito da istituti potentissimi che ai vertici hanno i personaggi indicati e altrettanto potenti. La realtà che presentiamo qui vale (come realisticamente escluderlo, alla base dei fatti raccolti nel caso in questione?) probabilmente per altri politici usciti dalla "rivoluzione del Maidan" e ora, direttamente o indirettamente, con un incarico nel Governo provvisorio.

Aiutare a far crescere la democrazia in un paese che non la conosce davvero è un'azione lodevole. Si tratta però realisticamente di questo, soltanto di questo in Ucraina, soprattutto di questo? A voi il compito di trovare la risposta, continuando le ricerche e l'approfondimento che WEAST TV ha voluto suggerire. 

Gli elementi che escono da questo scavo ci aiutano a capire meglio la crisi in Ucraina e in Crimea. Capire, anche, come sia facile utilizzare il sogno di libertà e di giustizia di un popolo per ottenere qualcosa d'altro, qualcosa che non riguarda direttamente questo popolo. E allora, concludendo, riformuliamo la domanda d'apertura. Che cosa vuole Putin? Che cosa vogliono l'Europa e gli Stati Uniti? Forse la stessa cosa, ma non lo dicono. Putin utilizza la sua retorica, UE e USA la loro. 

Per curiosità, andate anche sul sito della CDU tedesca, altro sponsor di Klitschko, cliccando QUI. Cosa vi leggiamo? Una citazione della signora Merkel:

Ci battiamo per un'Unione europea che pensi dapprima alle persone.

Davvero? Anche in Ucraina?



sabato 1 marzo 2014

Ucraina: diario "no newes".

© 2014 weast productions.
Sul canale Youtube di Weast TV è ora visibile il primo filmato dl Maidan di Kiev. Potete accedervi cliccando QUI. Ulteriori aggiornamenti dalla situazione in Crimea e nel resto dell'Ucraina a seguire. 

mercoledì 26 febbraio 2014

Reportage dall'Ucraina.

(c) 2014 weast productions

In Crimea vengono segnalati (primi) scontri fra filorussi e nazionalisti. La tensione è altissima, il futuro prossimo per l'Ucraina è ricco di insidie e pericoli. Domani, giovedì, la Regione pubblicherà un  reportage di Gianluca Grossi dal Paese. Qui di seguito un estratto:

A Kiev nessuno attraversa la strada se il semaforo è rosso. Nemmeno senza traffico. E nemmeno oggi, che non vedi in giro un poliziotto che sia uno. Chi aspetta l’autobus lo fa quasi sempre in fila indiana, l’ultimo arrivato si mette dietro, a nessuno verrebbe in mente di fare il furbo. Di sera, i minibus privati, gialli e verdi, scorrono lenti con i vetri ricoperti di vapore : dietro si indovinano sagome infilate dentro pesanti mantelli, sedute e in silenzio. Qualcuno passa una mano sui finestrini, aprendo piccoli oblò attraverso i quali guardano cosmonauti pensosi. Questi autobus assomigliano a televisori quadrati accesi sulla vita. Che a Kiev è strana. L’ordine regna anche sul Maidan, la Piazza dell’Indipendenza, ora che non si combatte più. Migliaia di persone attraversano a piedi le barricate tenendo la destra, ubbidendo alle indicazioni degli « addetti » : lunghe file ordinate scorrono parallele in direzioni opposte. Chi viene e chi va. È abitudine, non c’è dubbio, ma in questi giorni è anche qualcosa d’altro : il desiderio, forse, di dare una forma alle cose, alla realtà, di tenere insieme i pezzi della vita che ci mettono un attimo a staccarsi. Quando sulla piazza dell’Indipendenza e sui vialoni che prendono il nome di Institutska e Grusheskova si è scatenato il fuoco delle unità speciali della polizia e poi quello dei cecchini, in molti hanno pensato alla guerra. Che fosse arrivata e che andava combattuta. A Kiev, per qualche giorno, si è accesa la macchina del tempo : bastava avvicinarsi alle barricate per finirci dentro, risucchiati da un vortice che erano le immagini a formare, di uomini che indossavano elmetti della Seconda guerra mondiale, vecchie maschere antigas, vecchie divise militari e che avevano il volto annerito dalle bottiglie molotov e dagli incendi appiccati  per rimpedire ai poliziotti di attaccare la piazza. Ora che è tornata la calma, il Maidan e le strade circostanti sono state ripulite da squadre di cittadini volontari. Resta uno strato di polvere carbonizzata che si è posata su tutto. E restano le barricate, perché nessuno, a Kiev, pensa che sia davvero finita, ma anche perché quando l’hai assaggiata una volta, la rivoluzione, e quando hai assaggiato la battaglia, fatichi a tornare a una vita normale. C’è quindi ancora una parte della città trasformata in un accampamento. Gli abitanti di Kiev ci vanno di giorno e di sera, dopo il lavoro, alcuni sono venuti da fuori, lo scorso week-end. Per vedere dal vivo quello che hanno visto soltanto in televisione. Per rendere omaggio a chi si è battuto nella prima linea e che, ancora oggi, a distanza di giorni, si porta addosso gli stessi vestiti e sulla pelle quello che resta del fumo, una specie di medaglia al valore. Per rendere omaggio anche ai morti, quasi cento o cento o addirittura di più , non c’è una versione univoca : la gente porta fiori, con i quali ha ricoperto le barricate ; e candele, che accende davanti alle fotografie, molti i giovani, « uccisi dai cecchini », ti spiegano.  Ancora fino a qualche giorno fa c’erano le bancarelle con le ragazze che preparavano panini alla salsiccia e li offrivano a chi, sulla piazza, resisteva, anche ai giornalisti, che con il popolo della protesta hanno condiviso lo stesso freddo penetrante e lo stesso piombo. 

martedì 25 febbraio 2014

Gli ultimi non saranno i primi.

La prima immagine ci dice che se non fosse geopolitica, con tutte le conseguenze che essa comporta, sarebbe un gioco, una combinazione fantasiosa della vita e dei suoi attori. Dall'Ucraina questo dispaccio concentra le notizie di oggi in una frase: la gente teme il rischio di una spaccatura della nazione, con la popolazione russofona che chiede di aderire alla Russia, o perlomeno che la Russia intervenga in sua difesa, ma per ora non si capisce da quale nemico. C'è un tasso di retorica alle stelle. Sono circolate notizie fasulle sui social networks, che parlavano di un intervento delle truppe russe in Crimea. Nulla di vero (per ora). Ma a tensione è alta. 

Un gruppo di studenti (liceali) questa mattina si è riunito davanti al ministero dell'educazione/istruzione, proprio sotto la finestra della mia stanza: i ragazzi chiedevano di poter scegliere il nuovo ministro, quello in carica o considerano un incapace. Gli studenti sono riusciti ad entrare (senza violenza) nelle stanze del ministero. La rivoluzione ucraina ha anche quest'anima. Ed è trasparente. 

Gli ucraini aspettano tram e autobus in fila indiana. Nessuno fa il furbo, nemmeno con la scusa della rivoluzione, che teoricamente dovrebbe fare degli ultimi i primi e viceversa. Vero, ma non vale per le pensiline. Vale per la politica. E qui gli ucraini ci stanno provando, consapevoli che, comunque, per il momento sono sempre le stesse facce a tirare i dadi. 

A Kiev sfrecciano molte auto nuove di zecca e grosse come case, quasi tutte nere e con i vetri oscurati. Max, il fotografo con il quale vado in giro alla scoperta di questa città e di questo paese, guida una Volga del 1978. Daremmo meno nell'occhio a bordo di un Range Rover uscito di fabbrica quest'anno. Ma così risultiamo più simpatici a tutti. Non passa giorno, tuttavia, senza che si renda necessario un intervento al carburatore. Questa sera, uguale. 

Le notizie, a occhio e croce, per oggi sono queste.








lunedì 24 febbraio 2014

Kiev: fotoricordo e tute mimetiche.

Le immagini da Kiev di questo 24 febbraio 2014. Da una parte c'è la vita che ricomincia ad andarsene in giro per le strade, le vecchiette e le donne con i tacchi, chi fa la spesa e chi si beve una birra, come le due ragazze sedute su un muro. Ci sono le fotoricordo, con le barricate a fare da sfondo, per una coppia di giovani e un'altra, invece, un po' più elaborata, diciamo così. E poi c'è un'altra realtà che sto cercando di capire, siccome in Ucraina non ci sono mai stato e fino ad oggi ho seguito soltanto le rivoluzioni nel mondo arabo. Questa realtà "altra" è fatta di tute mimetiche che diventano sempre più numerose. Ci sono sempre più uomini in divisa militare in giro per il Maidan, la piazza della rivoluzione a Kiev. Appartengono a gruppi diversi, dal "Right Sector" ad altre formazioni. Sono tutti gruppi che non nascondono un'indole di destra, una destra chiaramente (e dichiaratamente) radicale, anche se poi le definizioni passano attraverso parole come "nazionalismo". Un nazionalismo che va capito, credo, come affermazione di una autorità del Paese nei confronti delle attenzioni interessate della Russia. Un nazionalismo da capire anche come uno schierarsi dalla parte di ciò "che è bene per la nazione", quindi per l'Ucraina. Sullo sfondo ci sarebbe quindi il desiderio di affrancarsi da una cultura politica che interpreta il potere come la scorciatoia per fare affari e arricchirsi. Eppure, tutte queste tute mimetiche, i quartieri generali dei singoli schieramenti che si insediano dentro qualche negozio del centro, il reclutamento di giovani (senza lavoro, senza prospettive, senza un ruolo da esprimere, individualmente e collettivamente), le squadre dei "vigilantes" che proteggono il Maidan e che ricevono un'istruzione veloce, in fila per due e vanti marsch.: fanno uno strano effetto. È come (non vorrei esagerare) s ela macchina del tempo ci riportasse indietro. C'è una nota stonata, ma mi sbaglierò. C'è un posizionamento ideologico eccessivo che mi pare stia risucchiando gli ideali espressi dalla piazza prima e durante i giorni di sangue appena trascorsi. Di chi è la rivoluzione? Chi la incarna? I movimenti di destra erao in prima fila contro le forze speciali della polizia. Chiederanno che il loro ruolo sia riconosciuto. I loro rappresentanti politici (in Parlamento) vengono definiti "non credibili". Chi è allora credibile? Gli istruttori paramilitari che si vedono nelle strade? A Kiev, la situazione è in movimento, una dinamica delicata e forse a rischio. Qualcuno oggi mi diceva che ci saranno altri scontri, in futuro, perché "i nostri politici, in Parlamento, vogliono farsi anch'essi soltanto i propri affari". È realistico questo parallelo: in Ucrania siamo al punto in cui erano gli egiziani quando se ne è andato l'ex presidente Mubarak. Rimane però tutto il resto: il sistema. Soltanto che qui non c'è un esercito con voglia di golpe, morbido o insanguinato che sia. Ci sono invece, mi sembra, dei gruppi fortemente connotati sotto l'aspetto ideologico, espressi dagli uomini in tuta mimetica. Siamo indubbiamente su posizioni di destra dura. Attraversando la barricata della penultima fotografia, oggi uno di questi uomini ha fatto un saluto nazista. Non ho avuto il tempo di fermarlo in immagine, ma ho visto chiaramente questo saluto. So che ci sono moltissimi ucraini, soprattutto giovani, che credono in questa rivoluzione come espressione di un desiderio di uguaglianza che sia incarnato da un sistema politico (il più possibile) corretto e democratico. Quanto contano, davvero? La vera domanda è questa. Non mi pare che occorrerà molto tempo per capire dove andrà il paese e quindi per trovare una risposta. Giovedì scriverò ancora da Kiev in un reportage sulla Regione Ticino. (Proprietà fotografica Weast Productions, 2014).












































domenica 23 febbraio 2014

Senza troppe parole. E senza i "donuts".

La giornata (23.2.2014) inizia a bordo di una Volga del 1978. Due contenitori in cartone con dentro il caffè in equilibrio aul cruscotto, ad auto ferma. E si capisce. "Siamo come due poliziotti americani", dico io. "Mancano soltanto i donuts", dice Max, che mi porta in giro. Non ci sono e non ci mancano. Direzione la reggia dell'(ex) Presidente ucraino Yanukovitsch. Qualche scatto in più rispetto al Post precedente. Ma soprattutto qualche immagine della "squadra" che si è ingrandita. Un gruppo di giovani ucraini mi hanno accompagnato, o meglio: io ho accompagnato loro durante questa giornata di estenuante scoperta. Non volevano più uscire dal parco immenso della sproporzionata residenza di un Presidente padrone di un paese povero. Freddo, umido. È stata un'esperienza straordinaria. I ragazzi, con gli occhi, volevano registrare tutto quello che hanno sempre sospettato esistesse, ma non hanno mai potuto verificare che davvero ci fosse, dietro i muri e i cancelli, aldilà delle guardie eccetera. Esiste, da oggi lo sanno. Poi, rientro a Kiev centro, a notte fonda, in mezzo alla strada, appesi ai cartelli stradali. Con Max il fotografo e ormai amico che scatta qualche istantanea solo, con il suo giubbotto arancione fosforescente in mezzo alla strada, un giubbotto che dice "stampa", quasi a dire che ora, nel suo paese che deve ricominciare da zero, questa parola significa davvero qualcosa, una missione di verità e di racconto del mondo. Alla fine del rullino che Weast TV vi propone dall'Ucraina, nell'ultimo scatto della giornata, di nuovo Max - Mad Max - al volante della sua Volga. Un ragazzo fortissimo, con il quale è un piacere parlare di immagini, fotografia, film e realtà. Politica e futuro. Rivoluzione e libertà. Come descriverla, come raccontarla, tutta questa vita. Senza sapere dove e come andrà a finire, la vita e la realtà dentro la quale prende forma. Finirà bene o finirà truccata, come sempre, con un nuovo dittatore che non chiameranno più dittatore, ma in altro modo. Se chiedete a me, io rispondo: finirà truccata. Basti pensare che la cancelliera tedesca Merkel ha già espresso la ferma intenzione di incontrare la signora (appena sprigionata) Timoshenko. Ai giovani del Maidan, quelli della rivoluzione, proprio non va a genio, piace invece - dicono - alle babushka, alle vecchiette, guarda un po', e chissà a quanti altri personaggi: potere uguale a quello appena fuggito. Raggiri e inciuci. Intrecci e affari sommersi. Bisognerebbe ascoltarli, questi giovani ucraini, ma non lo fa nessuno. Sarà perché qui, ormai. sono le tre di mattina, ma io (se posso dire "io") respiro un'aria strana, che sa di fregatura. Possibile che mi sbagli.

Ci fermiamo qui: qualcosa abbiamo raccontato anche noi, oggi. Senza troppe parole. A seguire. (Proprietà fotografica Weast Productions, 2014).


































Kiev: nella reggia del padrone.

Weast TV, con il suo reporter Gianluca Grossi, ha trascorso la giornata insieme a un gruppo di giovani ucraini. Una domenica dedicata alla visita della residenza (poco fuori Kiev) dell'ormai - si può dire? - ex Presidente ucraino Viktor Yanukovich. Una reggia, più che una residenza: chilometri e chilometri a piedi ci sono voluti per visitarne una parte soltanto. Edifici strampalati (un semichalet su base neoclassica o simile....), campo da golf, supercampodatennis, un lago immenso (chiamato "il mare di Kiev") altre case, casupole e amenità varie che, agli occhi degli ucraini, destinano Yanukovich alla lega (o al girone) di molti altri presidenti-dittatori o pseuduotali o comunque non propriamente democratici. Migliaia e migliaia di persone hanno fatto la fila, oggi, davanti al cancello che immette nella megatenuta. Ciacuno si è recato alla scoperta di ciò che tutti sospettavano, ma di cui nessuno davvero poteva dimostrare (o descrivere soltanto) l'esistenza. Scene, quelle che riportiamo, di un popolo che si stupisce di fronte allo sfarzo prodotto dentro un Paese che ufficialmente viene definito "povero". Scene di un polo composto, quasi silenzioso, o comunque mai urlante, addirittura rispettoso di una proprietà che la gente, interrogata al riguardo, definisce "ora di nostra proprietà". Si spiega forse anche così l'assenza di ogni saccheggio: nessuno ha mai cercato di entrare dentro gli stabili della proprietà (vedi foto di sguardi che cercano di cogliere gli interni...).  La tenuta è comunque difesa da militanti della rivoluzione, alcuni in tenuta militare, uno (quello che il reporter di Weast TV ha visto - armato di fucile da caccia a un cancello, altri con manganelli o bastoni soltanto. Difficile, teniamo a dirlo, capire dai segnali raccolti oggi quale direzione imboccherà la rivoluzione ucraina. 

Ora la serie di immagini. Altre seguiranno a breve, abbiamo tenuto a caricarle per il nostro sempre più numeroso pubblico con l'intento di restituire il polso della giornata a Kiev. (Proprietà fotografica Weast Productions 2014).